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Più di quanto si possa immaginare, la ricerca italiana occupa una buona posizione nella classifica globale, nonostante la percentuale di investimento pubblico inferiore a quella di altri paesi. Questo “vantaggio” potremmo buttarlo via se continuassimo a ridurre l’investimento e ad avviare un accentramento delle risorse verso i più importanti poli di ricerca.
I dati dicono, infatti, che i paesi leader nel settore tecnologico tendono a rendere il più possibile diversificato il loro sistema di ricerca. Questo deve avvenire, sia costruendo un ecosistema di ricerca vario, sia incentivando l’interdisciplinarietà al suo interno. È questa la mentalità su cui il CREF fonda la propria visione, portando avanti temi di ricerca molto diversi tra loro. Per migliorare il nostro ecosistema di ricerca bisogna analizzarlo è confrontarlo con i numeri degli altri paesi.
È ovvio che quando si confrontano paesi molto differenti (ad esempio, gli Stati Uniti e la Svizzera) bisogna tener conto del fatto che la produzione scientifica globale dipende dalle dimensioni del paese stesso: ad esempio dal numero di ricercatori o dall’investimento totale in ricerca. Un dato molto interessante è il rapporto tra l’investimento in ricerca e i risultati, in termini di pubblicazioni e citazioni. Questa relazione è tendenzialmente lineare, con alcune deviazioni più o meno significative.
Ad esempio, Gran Bretagna, Israele, Canada, Nuova Zelanda, ottengono più risultati rispetto alla “media ponderata” della spesa/citazioni globale. Stati come Giappone, Cina, Messico, Turchia, invece, producono sotto la media. Per l’Italia, che in ricerca investe una percentuale del PIL (1,2%) della metà inferiore a quella francese e tedesca, il rapporto qualitativo della ricerca rimane notevole. È bene ricordarlo dato la confusione che spesso si fa e si legge sul funzionamento della ricerca in Italia.